Sergey, giovane sordomuto, entra in un collegio speciale e deve essere sottoposto a tutti i riti di passaggio della banda che vi detta potere, gestendo anche traffici di droga e prostituzione. In questo contesto, si innamora di Anna, componente della banda, che vende il suo corpo per sopravvivere e che ha lasciato l'Ungheria. Per amore di lei, Sergey sarà disposto ad infrangere senza pietà le leggi che regolano la gerarchia all'interno della gang.
Abituato a un cinema che trae senso (soprattutto) dalla sua traccia sonora, il pubblico è catapultato in un universo filmico costruito interamente sull’immagine, i suoi simboli, i suoi scarti e disavanzi, i suoi dispositivi di decifrazione dei significati. Come ai tempi del muto, ma senza artifici espressionisti o costruzioni avanguardiste, semplicemente con la forza di una macchina da presa attaccata a personaggi che si muovono in un reale periferico, squallido e cinico.
sabato 30 maggio 2015
Louisiana
In un territorio invisibile, ai margini della società, sul confine tra illegalità e anarchia, vive una comunità dolente che tenta di reagire a una minaccia: essere dimenticati dalle istituzioni e vedere calpestati i propri diritti di cittadini. Veterani in disarmo, adolescenti taciturni, drogati che cercano nell'amore una via d’uscita dalla dipendenza, ex combattenti delle forze speciali ancora in guerra con il mondo, giovani donne e future mamme allo sbando, vecchi che non hanno perso la voglia di vivere. In questa umanità nascosta, si aprono gli abissi dell’America di oggi.
Il film di Minervini è talmente vicino alle comunità che racconta da produrre un effetto di intimità scioccante, quasi disturbante: lavorando con troupe e attrezzatura ridotte all’osso, costruendo relazioni umane coi suoi protagonisti, lascia che siano loro gli autori della storia, oltre che gli attori, impegnati a mettere in scena se stessi. Una vicinanza che gli consente di filmare l’infilmabile, la vita vera, ma orchestrata dalla macchina da presa in modo tale che la distinzione tra fiction e documentario perda di senso. Un’idea di cinema che, come i suoi incredibili attori/non-attori, sembra calata da un altro pianeta.
Il film di Minervini è talmente vicino alle comunità che racconta da produrre un effetto di intimità scioccante, quasi disturbante: lavorando con troupe e attrezzatura ridotte all’osso, costruendo relazioni umane coi suoi protagonisti, lascia che siano loro gli autori della storia, oltre che gli attori, impegnati a mettere in scena se stessi. Una vicinanza che gli consente di filmare l’infilmabile, la vita vera, ma orchestrata dalla macchina da presa in modo tale che la distinzione tra fiction e documentario perda di senso. Un’idea di cinema che, come i suoi incredibili attori/non-attori, sembra calata da un altro pianeta.
Pizza e datteri
Saladino, un giovane e inesperto ventenne afgano, arriva a Venezia mandato dal suo Imam per aiutare la piccola comunità musulmana locale a superare il periodo di crisi che sta affrontando. A contatto per la prima volta con una realtà del tutto nuova e con la vicinanza del mare, Saladino trova in Bepi, un veneziano convertitosi all'islamismo per protesta, un vero e proprio mentore. Tra i vari casi che il giovane Saladino è chiamato ad affrontare il più complicato è quello della voluttuosa ribelle Zara, che dopo aver denunciato il marito violento gestisce un negozio di parrucchiere unisex e vive troppo all'occidentale.
Il regista curdo Fariborz Kamkari, noto per I fiori di Kirkuk (2010), affronta con coraggio la commedia “all’italiana” scegliendo come location la città più rischiosa, data la sua turistica cinegenicità. Riesce a stare lontano dall’ovvio paesaggistico aggirandosi tra “fondamenta” vecchie e nuove e scoprendo, della Serenissima, una periferia anche dell’anima. Dove inciampa è invece sulla fluidità della narrazione, a tratti fuori registro, non sempre in grado di amalgamare il respiro comico e il grottesco.
Il regista curdo Fariborz Kamkari, noto per I fiori di Kirkuk (2010), affronta con coraggio la commedia “all’italiana” scegliendo come location la città più rischiosa, data la sua turistica cinegenicità. Riesce a stare lontano dall’ovvio paesaggistico aggirandosi tra “fondamenta” vecchie e nuove e scoprendo, della Serenissima, una periferia anche dell’anima. Dove inciampa è invece sulla fluidità della narrazione, a tratti fuori registro, non sempre in grado di amalgamare il respiro comico e il grottesco.
Youth - la giovinezza
Primavera. Fred e Mick, due vecchi amici alle soglie degli ottant'anni, sono in vacanza insieme in un elegante albergo ai piedi delle Alpi. Fred, compositore e direttore d'orchestra, è ormai in pensione mentre Mick, regista, è ancora in attività. I due amici, consapevoli che il tempo a loro disposizione sta lentamente scadendo, decidono di affrontare il futuro insieme e guardano con curiosità e tenerezza alla vita dei loro figli, dei giovani scrittori entusiasti di Mick e degli altri ospiti dell'albergo, tutta gente che sembra avere davanti a sé ancora l'intera esistenza. E mentre Mick si sforza di finire la sceneggiatura di quello che sarà il suo ultimo importante film, Fred non ha alcuna intenzione di rimettersi al lavoro, anche se qualcuno vuole a tutti i costi ascoltare nuovamente le sue composizioni e rivederlo di nuovo all'opera.
Grazie a David Lang (un compositore contemporaneo che Sorrentino ha aiutato a far conoscere), il film si abbandona a epifanie che spezzano il passo maestoso di grandi sequenze che perlopiù finiscono con sottili gag ironici (il film è divertente, anche se culmina in scene drammatiche). Proprio questo lo rende spesso un lavoro magnifico che quando giunge all’intensità delle emozioni subito si rifugia nel virtuosismo dei dialoghi, nell’ebbrezza della visione, nel grottesco insensato e divertente della vita. E nessun regista in Italia oggi sa esplorare la sensualità del mix di immagini e suoni come lui.
Grazie a David Lang (un compositore contemporaneo che Sorrentino ha aiutato a far conoscere), il film si abbandona a epifanie che spezzano il passo maestoso di grandi sequenze che perlopiù finiscono con sottili gag ironici (il film è divertente, anche se culmina in scene drammatiche). Proprio questo lo rende spesso un lavoro magnifico che quando giunge all’intensità delle emozioni subito si rifugia nel virtuosismo dei dialoghi, nell’ebbrezza della visione, nel grottesco insensato e divertente della vita. E nessun regista in Italia oggi sa esplorare la sensualità del mix di immagini e suoni come lui.
Calvario
Padre James Lavelle (Brendan Gleeson) è un buon uomo che desidera solo il bene per il mondo, prodigandosi per renderlo migliore di quello che è. Le sue buone intenzioni sono però quasi sempre schiacciate e sconvolte dalla cattiveria e dalla aggressività degli abitanti del piccolo villaggio di campagna in cui vive. Un giorno, padre James viene minacciato durante una confessione e da quel momento le forze dell'oscurità cominciano ad avvicinarsi intorno a lui.
Calvario è un teatro dell’assurdo, in cui gli abitanti propinano le proprie battute migliori, e al contempo soffrono dell’essere ridotti a personaggio. Così, in questa galleria di maschere dolenti, di stereotipi irrequieti, la fede che il film sostiene (e per cui James s’immola) non è quella in Dio. Ma quella nell’uomo. Oltre il cinismo, oltre il mondo ridotto a retorica vuota, a linguaggio automatico, a gioco di ruolo, a ronde del pregiudizio.
Calvario è un teatro dell’assurdo, in cui gli abitanti propinano le proprie battute migliori, e al contempo soffrono dell’essere ridotti a personaggio. Così, in questa galleria di maschere dolenti, di stereotipi irrequieti, la fede che il film sostiene (e per cui James s’immola) non è quella in Dio. Ma quella nell’uomo. Oltre il cinismo, oltre il mondo ridotto a retorica vuota, a linguaggio automatico, a gioco di ruolo, a ronde del pregiudizio.
Il racconto dei racconti
Dall'amara storia di una regina (Salma Hayek) che mangia il cuore di un drago per avere un erede alla storia di due sorelle misteriose che provocano la passione di un re (Vincent Cassel) e a quella di un re ossessionato da una pulce gigante che lo porta a preoccuparsi oltre misura per la sua giovane figlia: differenti storie intrecciano il bello con il grottesco, in un clima di sorprendente ed unica immaginazione gotica.
Un grande affresco in chiave fantastica del periodo barocco, raccontato attraverso le storie di tre regni e dei loro rispettivi sovrani ed ispirato e liberamente tratto da Lo cunto de li cunti di Giambattista Basile. Film molto pensato, fin troppo cerebrale, scientifico nel suo porsi come opera definitiva sul racconto di una fiaba al cinema, impeccabile pure nello scardinare l’ordine costituito dell’immaginario cinematografico contemporaneo.
Un grande affresco in chiave fantastica del periodo barocco, raccontato attraverso le storie di tre regni e dei loro rispettivi sovrani ed ispirato e liberamente tratto da Lo cunto de li cunti di Giambattista Basile. Film molto pensato, fin troppo cerebrale, scientifico nel suo porsi come opera definitiva sul racconto di una fiaba al cinema, impeccabile pure nello scardinare l’ordine costituito dell’immaginario cinematografico contemporaneo.
Mad Max: Fury road
Max Rockatansky (Tom Hardy), meglio conosciuto come Mad Max, si ritrova coinvolto con un gruppo di persone in fuga per le lande deserte dell'Australia nella guerra delle trivellazioni condotta da Imperatora Furiosa (Charlize Theron). Ha origine così un conflitto che per le strade lascerà dietro di sé una scia di vittime e pochi sopravvissuti in grado di raccontare quello che è successo.
George Miller ricompie il miracolo di Interceptor - Il guerriero della strada, quello di un neorealismo action con stunt kamikaze, effetti più pirotecnici che digitali, il regista e il suo sguardo in trincea per una artificiosità ridotta al minimo. L’inseguimento finale con i feroci attaccati alle pertiche è stupefacente. Mad Max: Fury Road è l’anti-videogame, è il viaggio degli eroi in una terra fantastica chiamata cinema.
George Miller ricompie il miracolo di Interceptor - Il guerriero della strada, quello di un neorealismo action con stunt kamikaze, effetti più pirotecnici che digitali, il regista e il suo sguardo in trincea per una artificiosità ridotta al minimo. L’inseguimento finale con i feroci attaccati alle pertiche è stupefacente. Mad Max: Fury Road è l’anti-videogame, è il viaggio degli eroi in una terra fantastica chiamata cinema.
Leviathan
Nikolai vive con il figlio adolescente Romka e la giovane moglie Lilya in un piccolo paese nei pressi del mare di Barents, nel nord della Russia, davanti a una piccola baia dove a volte entrano le balene. La sua casa, così come il piccolo garage dove esercita la professione di meccanico, vengono però portati via dal sindaco della città, che ha un particolare interesse nell'ottenere le sue proprietà. Combattere per vie legali contro il sindaco corrotto appare sin da subito inefficiente e, determinato a riottenere indietro ciò che è suo, Nikolai chiede aiuto a Dimitri, un vecchio compagno d'esercito divenuto avvocato benestante di Mosca. Presto, Dimitri si renderà conto che c'è solo un modo per risolvere la situazione e consiste nel portare alla luce le prove che incriminano il sindaco e il suo operato poco pulito.
Il film sceglie un formalismo realista e solenne, perché sa di usare una piccola storia come parabola e l’umanità che lo abita come pedina di un teorema. Procede ineluttabile, con umorismo nerissimo, con un respiro programmatico che toglie pathos al dramma e non conosce dialettica. Solo risposte sicure, immobili e terribili.
Il film sceglie un formalismo realista e solenne, perché sa di usare una piccola storia come parabola e l’umanità che lo abita come pedina di un teorema. Procede ineluttabile, con umorismo nerissimo, con un respiro programmatico che toglie pathos al dramma e non conosce dialettica. Solo risposte sicure, immobili e terribili.
Forza maggiore
Durante una settimana bianca in Francia, una famiglia svedese sta pranzando in un ristorante di montagna quando una slavina colpisce improvvisamente l’edificio. Preso dal panico e dal suo egoismo istintivo, il padre scappa, lasciando in asso la moglie e entrambi i figli. La vicenda fa così affiorare conflitti mai prima rivelati.
Lo svedese Östlund, vincitore con questo film del Premio della giuria al Certain regard 2014, guarda i personaggi col distacco sarcastico di un entomologo annoiato dando luogo ad una “valanga controllata”, un esperimento provocatorio di scoperto cinismo e portando lo spettatore fuori da ogni reale condivisione emotiva dandogli in pasto quello humour anti-empatico che è misura dei nostri tempi.
Lo svedese Östlund, vincitore con questo film del Premio della giuria al Certain regard 2014, guarda i personaggi col distacco sarcastico di un entomologo annoiato dando luogo ad una “valanga controllata”, un esperimento provocatorio di scoperto cinismo e portando lo spettatore fuori da ogni reale condivisione emotiva dandogli in pasto quello humour anti-empatico che è misura dei nostri tempi.
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