In un territorio invisibile, ai margini della società, sul confine tra illegalità e anarchia, vive una comunità dolente che tenta di reagire a una minaccia: essere dimenticati dalle istituzioni e vedere calpestati i propri diritti di cittadini. Veterani in disarmo, adolescenti taciturni, drogati che cercano nell'amore una via d’uscita dalla dipendenza, ex combattenti delle forze speciali ancora in guerra con il mondo, giovani donne e future mamme allo sbando, vecchi che non hanno perso la voglia di vivere. In questa umanità nascosta, si aprono gli abissi dell’America di oggi.
Il film di Minervini è talmente vicino alle comunità che racconta da produrre un effetto di intimità scioccante, quasi disturbante: lavorando con troupe e attrezzatura ridotte all’osso, costruendo relazioni umane coi suoi protagonisti, lascia che siano loro gli autori della storia, oltre che gli attori, impegnati a mettere in scena se stessi. Una vicinanza che gli consente di filmare l’infilmabile, la vita vera, ma orchestrata dalla macchina da presa in modo tale che la distinzione tra fiction e documentario perda di senso. Un’idea di cinema che, come i suoi incredibili attori/non-attori, sembra calata da un altro pianeta.
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